La storia è lunga e la racconta molto bene Federico Rampini in un lungo articolo del Corriere di oggi. Cercherò di farne un riassunto... utile per chi, come me, ignora molte cose delle vicende passate e dei rapporti fra questi due Paesi.
L'attacco che l'Iran ha lanciato su Israele nella notte tra sabato 13 e domenica 14 aprile è scattato dopo che Israele ha ucciso, in un raid a Damasco (in Siria) Mohamed Reza Zahedi, alto rappresentante delle Guardie rivoluzionarie. Ma da quando l'Iran è diventato il principale protettore dei palestinesi e da quando è diventato antiamericano? La risposta è importante per capire che il Medio Oriente alcuni decenni fa. Agli albori del conflitto israelo-palestinese, per esempio, l'Egitto era il Paese più antiamericano di quell'area; Iran e Arabia Saudita andavano d'accordo tra loro e si contendevano i favori degli Stati Uniti; i palestinesi avevano una leadership laica, refrattaria all'islamismo.
Gli antefatti degli schieramenti odierni risalgono alla fine degli anni Settanta, un periodo segnato da guerre e rivoluzioni. Fino al 1979 in Iran regnava lo
Scià di Persia, Reza Pahlavi, che aveva voluto una serie di riforme modernizzatrici: per esempio, i diritti delle donne iraniane e il loro livello d'istruzione erano fra i più avanzati di tutto il Medio Oriente. In sostanza, lo Scià adottava una politica di continuità con il regno di suo padre, il quale aveva addirittura tentato, negli anni Trenta, di vietare il velo integrale. Della tradizione persiana faceva parte anche la tolleranza verso la comunità ebraica locale, la più antica di tutte le diaspore in Medio Oriente. La sua origine si fa risalire alla regina Esther, sposa di un re persiano della dinastia Achemenida fondata da Ciro il Grande nel VI secolo a.C. La storia di questa regina, in ebraico Hadassah, è raccontata nel
Libro di Ester, parte della Bibbia ebraica: grazie al suo consorte persiano gli ebrei di quella diaspora vennero salvati dallo sterminio, un evento celebrato nella Festa di Purim. Realtà storica o leggenda, poco importa: la figura di Esther sta a ricordare quanto antica e integrata fosse la comunità di ebrei in Persia.
Lo Scià anche in questo si era mostrato fedele all'eredità storica. All'origine della partizione della Palestina nel 1948 ammonì che avrebbe portato a un conflitto per molte generazioni, però nel 1950 Reza Pahlavi riconobbe lo Stato d'Israele, con cui mantenne rapporti eccellenti fino alla fine del suo regno. Di fatto, Iran e Israele erano alleati, uniti non solo dall'appartenenza al campo occidentale durante la guerra fredda, ma anche da obiettivi interessi comuni: le forze anti-israeliane e l'opposizione che voleva rovesciare lo Scià spesso cooperavano tra loro, in particolare nei campi di addestramento terroristici del Libano. Anche l'Arabia Saudita, pur solidarizzando con il popolo palestinese, si riconosceva nel sistema di alleanze anti-Urss e anticomuniste, imperniate sulla leadership dell'America.
Sul fronte opposto c'era l'Egitto di
Nasser, Paese nordafricano ma legato al Medio Oriente dal punto di vista geopolitico; era il più importante degli alleati dell'Unione Sovietica in quest’area e il più importante sostenitore della causa palestinese. L'antica autorevolezza religiosa dell'Egitto tra i popoli islamici – legata al ruolo dell'università Al-Azhar del Cairo – era finita in secondo piano rispetto a un'altra leadership, quella laica, secolare e politica di Nasser. L'ex colonnello venuto al potere con un colpo di Stato era diventato il principale fautore del nazionalismo panarabo, a cui aggiungeva un'ideologia socialista. Il prestigio di Nasser nel mondo arabo era stato esaltato dalle vicende del 1956, quando l'Egitto aveva tenuto testa all'aggressione congiunta di Inghilterra Francia e Israele. Poi, però, aveva ricevuto un colpo fatale nel 1967, con la sconfitta contro Israele nella Guerra dei Sei giorni. Nasser non si era più ripreso, fino alla morte avvenuta nel 1970. L’anno prima della sua morte, nel 1969, i palestinesi riuniti nell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) si erano dati un nuovo leader:
Yasser Arafat, che era tutto, fuorché islamista. Arafat era più vicino al Dna ideologico di un Nasser, che a quello dei Fratelli musulmani.
Per i Fratelli musulmani – e per tutte le organizzazioni che ne sono derivate, inclusa Hamas – i popoli arabi non dovrebbero essere divisi per nazionalità, bensì riuniti nella
Ummah, la comunità dell'Islam, idealmente sotto un Grande Califfato o Stato islamico. Arafat invece era un nazionalista. In cerca di nuovi protettori, aveva subito un rovescio terribile in Giordania: nel 1970 il r
e Hussein aveva ordinato una repressione cruenta contro i commandos dell'OLP sul suo territorio (il "Settembre nero" di Amman). Un altro colpo tremendo all'OLP sarebbe venuto sette anni dopo: la visita del presidente egiziano
Anwar Sadat a Gerusalemme e il suo discorso alla Knesset, il Parlamento israeliano. Era il preludio ai negoziati di pace fra Egitto e Israele sotto la mediazione del presidente americano
Jimmy Carter. Sadat era anche il protagonista di un cambio di alleanze clamoroso: traghettava l'Egitto dal blocco sovietico a quello americano.
È in quel 1977 che Arafat, sentendosi tradito da Sadat e isolato, inaugura una nuova stagione di alleanze, le cui conseguenze vengono pagate tuttora, anzitutto dallo stesso popolo palestinese. In quel 1977, Arafat coglie l'occasione di un grave lutto familiare per rendere omaggio ad una figura allora poco conosciuta in Occidente, ma ben nota in Iran:
l'ayatollah Khomeini. Quando muore all’età di 47 anni suo figlio Mostafa Khomeini, l’ayatollah vive in esilio in Iraq. Fino a quel momento è solo uno fra tanti leader dell'opposizione allo Scià, anzi delle opposizioni al plurale: contro il regime monarchico si battono diverse correnti islamiche, nonché organizzazioni laiche di tipo socialista, comunista, o democratiche. In Iraq, Khomeini riceve un messaggio di condoglianze da Arafat, che segna l'inizio di una relazione destinata a cambiare la fisionomia politica del Medio Oriente. Il legame tra rivoluzionari palestinesi e iraniani fino a quel momento era stato dominato da militanti della sinistra. Quando nasce un contatto formale tra l'OLP e l'ala fondamentalista islamica della rivoluzione iraniana incarnata dall'ayatollah, si rafforzano l'addestramento e il sostegno in vista del rovesciamento dello Scià. Khomeini sfrutta fino in fondo questa relazione: impadronendosi della causa palestinese, sconvolgerà il paesaggio politico del Libano e di tutto il Medio Oriente.
Nel febbraio 1979 l'ultimo premier dello Scià, Shapour Bakhtiar, è costretto a fuggire da Teheran. Quel giorno la rivoluzione trionfa in Iran e Khomeini si appresta a imprimervi la propria egemonia. Arafat si considera l'altro vincitore di quell'evento: è sicuro di aver scommesso sull'alleato giusto. Con un bel po' di arroganza, è persino convinto che la rivoluzione iraniana sia merito suo: sono i palestinesi dell'OLP ad avere addestrato nelle loro basi del Libano quelle milizie khomeiniste che hanno messo fine a 2.500 anni di monarchia persiana, anche se la dinastia dello Scià è ben più giovane (ha solo due generazioni di storia).
Il nuovo regime teocratico di Teheran, almeno all'inizio, sembra confortare questa narrazione. Il 17 febbraio 1979 Arafat è il primo leader straniero a visitare l'Iran rivoluzionario, alla guida di una delegazione dell'OLP dove figura un giovane
Mahmmoud Abbas. Arafat raggiunge una Teheran ancora sconvolta da scontri tra fazioni, al termine di un avventuroso viaggio in aereo via Damasco. L'aeroporto di Teheran è assediato da iraniani che vorrebbero fuggire all'estero e gli americani stanno evacuando i loro connazionali su diversi aerei da trasporto militari Hercules C-130 della U.S. Air Force. Al suo atterraggio, Arafat non si trattiene: dal terminal dell'aeroporto di Teheran, si dichiara il vincitore alla pari con Khomeini: «La rivoluzione dell'Iran non appartiene solo agli iraniani, appartiene anche a noi. Ciò che voi avete realizzato è un terremoto. Il vostro eroismo ha scosso il mondo, Israele e l'America».
Il proclama di Arafat viene seguito in tutto il mondo arabo. Le sinistre socialiste e comuniste, ancora forti temporaneamente in Iran e in molti paesi arabi, celebrano una vittoria che considerano loro. In quella fase tanto euforica e caotica, quasi tutti sembrano sottovalutare le differenze profonde tra l'Iran sciita e il mondo arabo a maggioranza sunnita, o tra l'ideologia nazionalista e socialista dell'OLP e il fanatismo islamico di Khomeini. Nei cortei di piazza in diverse nazioni arabe appaiono striscioni con uno slogan che contiene un sinistro presagio: «Lo Scià è finito. Domani tocca a Sadat».
Il presidente egiziano, "colpevole" di aver firmato la pace con Israele, verrà assassinato due anni dopo (1981) in una congiura dei Fratelli musulmani. In effetti, proprio mentre Khomeini s'impone in Iran e Arafat si precipita da lui a
condividere quella vittoria, le prime pagine dei giornali di tutto il mondo affiancano due eventi dal Medio Oriente: da una parte, la deposizione dello Scià; dall'altra, gli accordi di Camp David tra Egitto e Israele. Il canto di vittoria di Arafat all'inizio sembra confermato dai fatti: l'OLP ha perso un alleato importante come l'Egitto, ma ne ha guadagnato un altro dal peso geopolitico rilevante.
Subito dopo l'arrivo di Arafat a Teheran, il nuovo regime taglia i rapporti con Israele. I diplomatici israeliani sono evacuati. Inizia un ponte aereo per portare in salvo migliaia di ebrei persiani, l'epoca della tolleranza per loro si chiude di colpo. Ma il successo dell'OLP è di breve durata. Arafat, alla pari di tutte le sinistre nazionaliste del mondo arabo (e di tanti intellettuali occidentali) non capisce che gli esordi di Khomeini non promettono nulla di buono per lui e per i suoi compagni di strada. Subito dopo la vittoria di Khomeini, il clero al comando del Paese instaura i suoi Tribunali della Rivoluzione. Le condanne a morte – per impiccagione o lapidazione – vengono messe in atto a gran velocità: centinaia di esecuzioni colpiscono ufficialmente i membri della famiglia reale, i collaboratori dello Scià, i trafficanti di droga. In realtà, tra i bersagli ci sono soprattutto i separatisti delle minoranze etniche (Kurdistan, Gonbad, Khuzestan) e i leader della sinistra marxista. Questi ultimi si erano illusi di manipolare Khomeini e orientarlo verso una rivoluzione socialista, ma si sbagliavano.
Khomeini non perde tempo a ribaltare la situazione anche con l'OLP. Appena conquistato il potere, l'ayatollah comincia a far pressione su Arafat perché definisca la sua organizzazione come un movimento di «resistenza islamica»: un'etichetta impossibile vista la storia e l'ideologia dell'OLP, la cui base militante non era affatto religiosa. Già verso la fine del 1979 l'alleanza fra i due Paesi si stava logorando. I capi e militanti palestinesi accorsi a Teheran, osservando da vicino l'instaurazione di una dittatura religiosa, cominciarono a definire gli iraniani come dei «matti da legare». Gli ayatollah a loro volta erano disgustati da quei palestinesi che non pregavano, bevevano alcol, andavano a donne. La divaricazione era cominciata presto. Nel conflitto fra Khomeini e Arafat alla fine i vincitori sarebbero stati gli ayatollah. E, tra gli sconfitti, c'era il popolo palestinese.
Khomeini, appropriandosi della causa palestinese e rompendo con Israele, fece un investimento politico: voleva diventare il difensore di una causa popolare in tutto il mondo arabo, per far dimenticare alla maggioranza sunnita di quel mondo la propria appartenenza allo scisma sciita e preparare così una lunga guerra per l'egemonia sull’Islam. Se Arafat non voleva entrare a far parte di una resistenza islamica, ora l'Iran aveva i mezzi per crearsene una, organizzando quei palestinesi e quei libanesi attratti dal fondamentalismo di Khomeini. Dentro l'opposizione palestinese ad Arafat ci sarebbero stati dei fondamentalisti islamici, come Hamas, e avrebbero cercato sostegno in Iran.
Da quell'incontro-scontro Khomeini-Arafat, da quell'alleanza breve e fondata sugli equivoci, ha origine nel 1979 una nuova strategia per costruire l'impero persiano del nostro tempo, irradiando ideologia jihadista e armi a milizie in tutto il Medio Oriente. In questo bilancio di mezzo secolo il popolo palestinese esce sconfitto perché il suo scivolamento nell'orbita della teocrazia sciita ha accelerato la presa di distanza di tutto il mondo sunnita moderato.
Dopo l'Egitto e la Giordania, anche l'Arabia Saudita e gli Emirati (essendo nel mirino dell’espansionismo iraniano) hanno preso le distanze dai palestinesi. In quanto all'erede dell'OLP di Arafat, l'Autorità palestinese, la sua forza originaria è stata distrutta insieme alla sua legittimità popolare, rovinata dalla corruzione e dall'incapacità dei suoi leader, come Mahmoud Abbas, e sotto gli attacchi costanti di Hamas e Hezbollah sostenuti dall'Iran. In questo gioco al massacro si è poi infilata la destra israeliana: da
Ariel Sharon a
Benjamin Netanyahu ha sempre assecondato l'asse Hamas-Iran a Gaza, per indebolire l'Autorità palestinese, dividere il fronte avversario, togliere credibilità alla prospettiva di due Stati.
E bravo Rampini...
FonteEdited by Monnalisa - 14/4/2024, 15:13